Di guerra sentiamo parlare quasi quotidianamente, ma la verità è che la realtà delle zone che vivono sotto i conflitti armati è troppo distante, spazialmente ma soprattutto ideologicamente, dalla nostra per far sì che possa essere concreta nelle nostre menti, e palpabile. Le immagini che passano sui telegiornali ci impressionano, ovviamente, ma finiscono con il non essere diverse dalle finzioni cinematografiche cui i film ci hanno abituati, perché, diciamolo francamente, la guerra è un’idea troppo lontana da noi per sembrarci davvero reale. Per fortuna, ovvio, ma spesso finisce con il diventare troppo facile, una volta immagazzinate le immagini e le informazioni, archiviarle e metterle in stand by, come se il “problema”, poi, non esistesse più. Ma intanto nel mondo le persone continuano a vivere, e a morire, sotto le armi, e a pagare il prezzo più alto di un odio di cui spesso non è facile neppure capire la ragione, come sempre, sono i bambini. Non solo perché, come capita a moltissimi di loro, nascono praticamente in guerra, e città distrutte, carri armati e scoppi di bombe sono la sola “normalità” cui siano abituati, non solo perché dai conflitti vengono resi orfani, o esuli – quando sono fortunati – che vagabondano da un paese all’altro in cerca di rifugio. Più spesso la guerra lascia in loro ferite psicologiche talmente profonde e inguaribili da minare persino il loro sviluppo futuro, da compromettere gli adulti che diventeranno.
Save the Children ha pubblicato un report chiamato, appunto, Ferite invisibili, perché mirato proprio a far conoscere gli aspetti meno evidenti del conflitto siriano, che va avanti dal marzo del 2011; l’indagine, condotta tra il dicembre 2016 e il febbraio 2017 su 458 tra bambini, adolescenti e adulti all’interno di sette tra i 14 governatorati della Siria, nelle zone di Aleppo, Damasco, Dara’a, Hasakah, Homs e Idlib, fa emergere una verità davvero scioccante, fatta di malattie mentali che insorgono proprio per l’esposizione continua alla situazione di guerra, di orfani, di bambini che desiderano addirittura morire pur di trovare finalmente la pace. Il rapporto è fatto di numeri, sì, ma ancor più delle paure, del dolore e delle richieste disperate di aiuto di questi bambini che vivono praticamente da quando vengono al mondo in un girone infernale da cui non riescono a uscire.
Anche fuori dai confini siriani, tuttavia, ci sono altre situazioni, altre storie, altre infanzie rubate e che non vengono restituite. Il 20 novembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in concomitanza con l’anniversario della Convenzione Unicef, stipulata nel 1989, e il quadro che spicca racconta ancora di troppi bambini a cui non solo questi diritti vengono negati, ma mai neppure avvicinati. Bambini che nascono privi della benché minima tutela, o che viene loro strappata, che vengono usati al pari di merce di scambio e sfruttati per le più disparate ragioni.
Qual è il vero volto della guerra e delle sue conseguenze? È quello di questi bambini, che a volte trovano persino la forza di conservare una minima speranza, altre, purtroppo, non conoscono nemmeno il significato di questa parola.
Se questo è un uomo è il titolo di un famosissimo libro di Primo Levi, che racconta gli orrori del campo di concentramento; noi, invece, dobbiamo chiederci se questo può davvero essere un bambino.
I numeri di un conflitto senza tregue
Come riporta Skytg 24, in sei anni di guerra, in Siria le vittime stimate sono più di 470.000. L’85% della popolazione siriana è in condizioni di povertà, 4,6 milioni di persone vivono in aree assediate. 6,3 milioni sono gli sfollati all’interno del Paese, mentre 4,9 milioni sono riusciti a scappare.
La realtà agghiacciante dei bambini siriani
Il report Ferite invisibili condotto da Save the Children è stato condotto nelle aree in cui l’ONG ha ancora accesso, zone controllate dalle forze dell’opposizione, ma anche in aree assediate o difficili da raggiungere.
I dati che emergono sono a dir poco agghiaccianti: in un bambino su 4 la guerra ha avuto effetti devastanti sulla salute mentale. Tre milioni sono nati e cresciuti in guerra, 5,8 milioni si stima siano quelli che necessitano di aiuto. Molti non riescono più a parlare, fanno uso di alcool e droghe e commettono atti di autolesionismo, mentre aumentano anche i casi di suicidio fra i giovanissimi. Come riporta Repubblica, due bambini su tre hanno perso qualche loro caro, la loro casa, spesso bombardata, o sono rimasti feriti a causa del conflitto. Gli adolescenti ormai fanno uso di droghe per affrontare lo stress, le violenze domestiche sono aumentate , e moltissimi sono i bambini che soffrono di minzione involontaria e di frequente enuresi notturna, o quelli che la notte non riescono a dormire per gli incubi, la paura del buio, dei bombardamenti, della perdita della famiglia.
I bambini che sognano di morire
Molti bambini sognano addirittura di morire, per poter andare in Paradiso e avere così un posto dove poter mangiare e stare al caldo. Altri, invece, sperano di essere colpiti dai cecchini per arrivare in ospedale e avere così l’opportunità di fuggire dalle città assediate.
Il terrore delle bombe
Una delle più grandi paure dei bambini che vivono ancora in Siria è proprio quella delle bombe: ormai il solo rumore di un aereo, o delle grida, sono sufficienti a generare terrore nei bambini, così come una porta sbattuta dal vento. Marwan, un bambino di 6 anni di Aleppo, non è più capace di parlare ma sa soltanto gridare. “Odio gli aerei, perché hanno ucciso mio padre“, dice nel rapporto di Save the Children.
Nati sotto le bombe
3,7 milioni di bambini sono nati quando il conflitto siriano era già iniziato, dal 2011 in poi. Quelli che hanno meno di 12, invece, hanno già passato la metà della loro vita in una condizione di continuo imminente pericolo. Molti soffrono di incubi notturni e hanno difficoltà ad addormentarsi per il terrore di non svegliarsi più. La mancanza di sonno e di riposo è ovviamente estremamente pericolosa per la salute fisica e mentale dei bambini, e infatti sono numerose e gravissime le conseguenze di natura psichiatrica, nonché frequente l’insorgenza di malattie, spesso letali.
Smettono di parlare e tentano il suicidio
Spesso i bambini smettono di parlare, soffrono di tremendi mal di testa, hanno difficoltà a respirare e paralisi temporanee degli arti. A oggi, il 48% degli adulti ha visto minori che hanno perso l’uso della parola. Molti, soprattutto fra i più grandi, per combattere la paura si rifugiano nelle droghe, nell’alcool, o compiono atti di autolesionismo. In soli due mesi, nella città assediata di Madaya, lo staff medico ha segnalato a Save the Children almeno 6 casi di bambini che hanno tentato il suicidio, il più giovane aveva 12 anni.
Il terrore di rimanere soli
Una delle paure più grandi dei bambini è, ovviamente, quella di essere strappati alle famiglie e ai loro cari con violenza. Due bambini su tre dicono di aver perso uno dei loro cari, molti hanno visto morire i propri genitori, familiari, amici, oppure li hanno persi perché sono spariti o sono stati arrestati.
Lei è diventata il simbolo dell'orrore
Sahar Dofdaa, nata nel villaggio di Hamuriya, nella zona di Ghouta, nel settembre 2017 è morta di fame. La sua fotografia, scattata dal siriano Amer Almohibany, ha fatto il giro del mondo, come simbolo delle condizioni atroci in cui moltissimi bambini sono costretti dalla logorante guerra in Siria.
Il suo corpicino è il simbolo di un orrore senza fine
Ancora troppi i bambini da salvare
Nel febbraio 2017, secondo il rapporti di Save the Children, erano ancora 650 mila le persone all’interno delle 13 aree assediate, tra cui molti bambini rimasti soli, costretti a vivere il dramma della mancanza di aiuti, medicine, carburante per scaldarsi, e ovviamente della fame. La guerra siriana ha reso i bambini più aggressivi, sia nei confronti dei genitori e dei familiari che degli amici, e il 59% degli intervistati conosce bambini e ragazzi reclutati nei gruppi armati, alcuni anche sotto i 7 anni. “Bambini lasciati orfani della guerra che pur di avere qualcosa da mangiare si uniscono ai gruppi armati – sottolinea Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia, a Repubblica – Non possiamo rimanere a guardare mentre si consuma questa tragedia sulla pelle dei bambini. Devono immediatamente smettere i bombardamenti sui civili e gli aiuti devono raggiungere le popolazioni con particolare attenzione al sostegno psicologico per i più piccoli e vulnerabili“. Molti genitori preferiscono dare in sposa le proprie figlie, ancora bambine, perché non possono occuparsi di loro, generandone la disperazione che in alcuni casi le porta addirittura al suicidio.
Gli altri diritti negati: i bambini soldati
La situazione siriana ha portato al nascere di fenomeni di una gravità estrema, come quella dei bambini soldati, arruolati dall’Isis e addestrati come veri e propri combattenti, spesso addirittura come baby kamikaze, pronti a farsi esplodere in nome dell’autoproclamato Stato Islamico. Ci sono bambini come Jamal, 11 anni soltanto, che la madre, N.H, intervistata dal Corriere, racconta essere un aspirante suicida.
“ Vogliono che si faccia saltare in aria contro i curdi e gli americani che attaccano Raqqa – spiega la madre – Lo hanno indottrinato e addestrato a compiere missioni kamikaze. E lui obbedirà agli ordini. Presto sarà morto dilaniato. A meno che non si paghino 10.000 dollari per liberarlo. Ma noi non abbiamo tutti quei soldi. Poi faranno lo stesso con il mio secondo figlio di nove anni. Anche per lui chiederanno il riscatto“.
Perché la realtà è questa, i bambini vengono rapiti nelle zone di conflitto, nei villaggi assediati di Iraq o Siria, e sottoposti a un autentico lavaggio del cervello, con cui vengono indottrinati secondo il volere del Califfato. Anche una volta liberati, riportarli alla normalità e cercare di sciogliere la fortissima influenza degli indottrinamenti nelle loro menti è davvero difficile, spesso impossibile.
Il dramma delle baby prostitute
Se i bambini rapiti vengono educati a diventare perfetti soldati dell’Isis o kamikaze pronti a farsi esplodere, per molte ragazze e bambine in tutto il mondo esiste invece l’incubo della prostituzione. Moltissime sono quelle vendute come schiave sessuali, 15 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni, secondo l’Osservatorio dei Diritti, hanno subito molestie o stupri, nel 90% dei casi da persone conosciute.
Continua il dramma delle spose bambine
Si stima che ogni 7 secondi una ragazza con meno di 15 anni di età venga data in sposa a uomini, spesso molto più grandi di lei, a causa della povertà o di pratiche sociali discriminatorie, con conseguenze devastanti sulla vita delle giovani e su quella dei loro figli. Le recenti stime Unicef indicano che, a livello globale, 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni – ovvero una su tre all’incirca- si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni sono diventate mogli addirittura prima di aver compiuto 15 anni.
Il dramma dei bambini migranti
Un’altra piaga della guerra è legata ai migranti minori non accompagnati, i bambini che attraversano il mare per raggiungere nuove terre, fuggendo dalla loro, non accompagnati dagli adulti. Nel 2016, secondo l’Osservatorio dei Diritti, più di 100 mila migranti minorenni hanno attraversato il Mediterraneo per arrivare in Europa. Si tratta di ragazzi e ragazze in fuga dal loro paese, diretti in Europa e sempre più giovani: possono infatti avere appena 12 o 13 anni. Negli anni sta aumentando anche la percentuale di ragazze che arrivano, quasi tutte nigeriane. Nel 2016, solo in Italia, sono arrivati 26 mila minori stranieri soli, nel 2017, secondo i dati registrati fino al 25 ottobre, sono stati 14.579, e rappresentano il 90% di tutti i bambini arrivati in Italia. Naturalmente arrivare da soli li rende facili prede del traffico di esseri umani, che sfrutta le loro debolezze fisiche e psichiche.
Se in tutto il mondo i bambini che finiscono nelle mani dei trafficanti sono un quarto delle vittime totali, il 57% di loro viene adescato proprio mentre sta attraversando i confini. Il 72% delle vittime di sesso femminile subisce sfruttamento sessuale, l’86% delle vittime maschili viene sottoposto a lavori forzati.
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