Bambini in guerra: alcuni tentano il suicidio, 1 su 4 ha problemi di salute mentale

Bambini in guerra: alcuni tentano il suicidio, 1 su 4 ha problemi di salute mentale
osservatoriodiritti.it
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Di guerra sentiamo parlare quasi quotidianamente, ma la verità è che la realtà delle zone che vivono sotto i conflitti armati è troppo distante, spazialmente ma soprattutto ideologicamente, dalla nostra per far sì che possa essere concreta nelle nostre menti, e palpabile. Le immagini che passano sui telegiornali ci impressionano, ovviamente, ma finiscono con il non essere diverse dalle finzioni cinematografiche cui i film ci hanno abituati, perché, diciamolo francamente, la guerra è un’idea troppo lontana da noi per sembrarci davvero reale. Per fortuna, ovvio, ma spesso finisce con il diventare troppo facile, una volta immagazzinate le immagini e le informazioni, archiviarle e metterle in stand by, come se il “problema”, poi, non esistesse più. Ma intanto nel mondo le persone continuano a vivere, e a morire, sotto le armi, e a pagare il prezzo più alto di un odio di cui spesso non è facile neppure capire la ragione, come sempre, sono i bambini. Non solo perché, come capita a moltissimi di loro, nascono praticamente in guerra, e città distrutte, carri armati e scoppi di bombe sono la sola “normalità” cui siano abituati, non solo perché dai conflitti vengono resi orfani, o esuli – quando sono fortunati – che vagabondano da un paese all’altro in cerca di rifugio. Più spesso la guerra lascia in loro ferite psicologiche talmente profonde e inguaribili da minare persino il loro sviluppo futuro, da compromettere gli adulti che diventeranno.

Save the Children ha pubblicato un report chiamato, appunto, Ferite invisibili, perché mirato proprio a far conoscere gli aspetti meno evidenti del conflitto siriano, che va avanti dal marzo del 2011; l’indagine, condotta tra il dicembre 2016 e il febbraio 2017 su 458 tra bambini, adolescenti e adulti all’interno di sette tra i 14 governatorati della Siria, nelle zone di Aleppo, Damasco, Dara’a, Hasakah, Homs e Idlib, fa emergere una verità davvero scioccante, fatta di malattie mentali che insorgono proprio per l’esposizione continua alla situazione di guerra, di orfani, di bambini che desiderano addirittura morire pur di trovare finalmente la pace. Il rapporto è fatto di numeri, sì, ma ancor più delle paure, del dolore e delle richieste disperate di aiuto di questi bambini che vivono praticamente da quando vengono al mondo in un girone infernale da cui non riescono a uscire.

Anche fuori dai confini siriani, tuttavia, ci sono altre situazioni, altre storie, altre infanzie rubate e che non vengono restituite. Il 20 novembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in concomitanza con l’anniversario della Convenzione Unicef, stipulata nel 1989, e il quadro che spicca racconta ancora di troppi bambini a cui non solo questi diritti vengono negati, ma mai neppure avvicinati. Bambini che nascono privi della benché minima tutela, o che viene loro strappata, che vengono usati al pari di merce di scambio e sfruttati per le più disparate ragioni.

Qual è il vero volto della guerra e delle sue conseguenze? È quello di questi bambini, che a volte trovano persino la forza di conservare una minima speranza, altre, purtroppo, non conoscono nemmeno il significato di questa parola.

Se questo è un uomo è il titolo di un famosissimo libro di Primo Levi, che racconta gli orrori del campo di concentramento; noi, invece, dobbiamo chiederci se questo può davvero essere un bambino.