Lidia Vivoli, è siciliana, ha 45 anni e nella notte fra il 24 e il 25 giugno 2012 è stata quasi uccisa da colui che aveva dichiarato di amarla sopra ogni cosa. Una gelosia incontenibile che poteva tristemente finire in tragedia e della quale ancora oggi porta le dolorose ferite. Ma lui, l’uomo che le ha fatto questo, tra poco sarà libero.
Lacerazioni non solo nell’anima ma ben visibili anche sul suo corpo. Per questo motivo, con coraggio e determinazione, la donna ha voluto raccontare – e mostrare – sui social la scioccante storia che l’ha vista coinvolta.
Vi mostro il mio corpo. Quello che nessuno vuol vedere, un corpo massacrato, dilaniato da chi mi chiamava “Amore“!
Ha cominciato così il suo discorso Lidia Vivoli, illustrando l’agghiacciante ricostruzione di quella notte nei primi giorni d’estate.
Io non credo che possa esistere un motivo per giustificare tale ferocia! Nessuna scusa, nessuna giustificazione! Chi mi ha fatto questo, la notte tra il 24 ed il 25 giugno 2012, continua a dire che non è vero, che sono una donnaccia, che non voleva uccidermi! In fondo 6 pugnalate, mentre dormivo, dopo avermi colpito con una padella in ghisa, sulla testa, (finché non si è rotto il manico) a cosa servivano? Il tentativo di soffocamento con il filo dell’abat-jour prima e del ventilatore poi, le costole rotte, la gola graffiata a mani nude! L’ultima pugnalata all’addome… Ed ora? Ho denunciato ma sono stata abbandonata!
Parole dure, durissime verso non solo colui che l’ha quasi uccisa ma, soprattutto, verso l’istituzione italiana:
Non merito di ricominciare a vivere? Non merito serenità? No! Tutto deve essere concesso solo a loro, agli assassini! Per loro vi sono premi, sconti di pena, perfino un lavoro! Ma la mia, la nostra pena, non avrà sconti! Io un lavoro lo avevo, lo amavo…. Ora non esiste più… Ora c’è solo lo sconforto di essere stata abbandonata da uno Stato che ci dice di denunciare, di essere forti e poi ci lascia morire, nell’indifferenza più totale! Io parlo a nome di tutte le donne vittima di violenza!
Oggi Lidia è un vero e proprio simbolo di forza per se stessa e per tutte quelle donne che hanno subito – o subiscono tutt’oggi – violenza da parte di uomini che avevano promesso loro l’amore. Il suo aguzzino (dopo la sua denuncia) è stato condannato a 4 anni e 6 mesi e dovrebbe tornare in libertà fra maggio e luglio del prossimo anno. Un incubo, quello del ritorno dell’uomo, che Lidia non riesce a superare. Paura per se stessa e per i suoi figli avuti da un matrimonio felice con un nuovo uomo. Le parole della donna non solo frasi vittimistiche, postate su Facebook unicamente per l’approvazione sociale, ma sono un vero e proprio grido d’aiuto. Un modo per sensibilizzare su un argomento importate e doloroso ma, secondo quanto scritto da lei, ancora trattato in modo superficiale dallo Stato italiano.
I graffi sul collo
Lidia Vivoli ha raccontato la sua storia anche al Corriere della Sera, nella prima settimana di aprile 2017.
Un femminicidio mancato.
Così lo aveva definito con sofferenza a giornale italiano.
Da tempo tra noi c’erano problemi. Era gelosissimo, ogni appuntamento pensava che celasse un tradimento. […] Quella notte, dopo l’ennesima discussione, andò in bagno e qualche minuto dopo tornò con una padella di ghisa. Cominciò a colpirmi fino a rompermela in testa. Poi afferrò le forbici e mi colpì al ventre e alla coscia. Lottai, cercai di resistere, ma lui mi tenne immobilizzata per tre ore. Mi liberò solo con la promessa che non lo avrei denunciato.
Lividi sull'avambraccio
I lividi sulla schiena
Lidia ha parlato al Corriere della Sera anche della sua angoscia circa la scarcerazione del suo aguzzino:
Più si avvicina quel momento, più cresce l’angoscia. Appena mangio qualcosa vado subito a vomitare, la notte mi sveglio in continuazione, ho le palpitazioni al minino rumore. Sono terrorizzata soprattutto per i miei bambini.
Una paura reale dato che incontrarlo, negli anni precedenti, non è stato purtroppo difficile. Cinque mesi dopo l’arresto, l’uomo ottenne infatti i domiciliari e cominciò a mandare alla donna numerosi messaggi minatori sul suo profilo di Facebook. Un ricordo ancora indelebile nella sua mente:
Un giorno me lo ritrovai davanti. Mi disse che voleva tornare con me, che lo stavo rovinando, che me l’avrebbe fatta pagare.
Graffi e lividi anche sulle ginocchia
Il viso di chi non ha smesso di combattere
Vado volentieri a parlare con gli studenti, perché penso serva a sensibilizzare tante ragazzine a non sottovalutare i primi segni di violenza.
Ha spiegato la donna sempre nell’intervista al Corriere della Sera. Una lotta, la sua, contro la disinformazione circa le violenze sulle donne e per far conoscere alle giovani ragazze l’altro lato della medaglia dell’amore: quello doloroso e che, purtroppo, può portare alla morte.
Ancora graffi
I segni sul collo da più vicino
Io ho perso anche il lavoro, perché la Wind Jet è fallita, ma nessuno ci aiuta. Dopo una violenza per noi e le nostre famiglie tutto diventa difficile, dovremmo sentirci tutelate e invece veniamo abbandonate.
All’epoca della violenza, Lidia Vivoli era infatti un’assistente di volo presso la compagnia aerea a basso costo da lei citata – la Wind Jet -, fallita purtroppo nell’agosto 2012.
Ematomi su schiena e braccia
Lividi anche sul viso
Se domani lui mi ammazza non cambierà nulla. Nessuno si preoccuperà della mia famiglia, degli orfani.
Ha commentato Lidia Vivoli sempre al Corriere della Sera. Una triste considerazione che però non le ha tolto la voglia di vivere e di lottare ancora per la sensibilizzazione e un interesse maggiore circa le violenze di genere in Italia.
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