27 torture atroci con cui si punivano le donne nel Medioevo

Non solo la stregoneria, in passato erano molti i “delitti” e i peccati imperdonabili imputabili alle donne, e per loro esistevano strumenti di tortura davvero terribili e atroci che, nella migliore delle ipotesi, ovvero quando non le portavano alla morte, le costringevano a grandi sofferenze, alla pubblica umiliazione e agli scherni della popolazione.
Bruciate, marchiate, trascinate per la città, legate e imbavagliate, alla mercé di tutti, affinché i compaesani potessero comprendere l’empietà commessa e punirle con insulti, sputi, derisioni, percosse: le donne del Medioevo non avevano sorte migliore rispetto agli uomini esposti a ogni tipo di tortura per i peccati più disparati, anzi per loro, forse, la sorte era persino peggiore, e la quantità di colpe imputabili addirittura maggiore. Chiunque venisse tacciata di pettegolezzo, falsità, adulterio o praticasse la prostituzione era condannata ai peggiori supplizi, per cui la mente umana più perversa ha creato strumenti in grado di far desiderare la morte pur di vedere placate le sofferenze atroci.
Le litografie, i disegni e le illustrazioni che oggi ci testimoniano quegli orrori che, pure, erano prassi nel passato, raccontano di un’epoca intrinsecamente legata a pregiudizi, falsi miti, convinzioni infondate, per cui gli uomini erano capaci di infliggere tanta pena ai propri simili spesso con il solo scopo di “purificarli” o di “insegnare loro una lezione”. E le donne, naturalmente, erano di frequente i soggetti preferiti per la presunta “redenzione” morale, che passava, inspiegabilmente, per la sofferenza più brutale e l’umiliazione più degradante.
TPI ha raccolto alcune delle torture peggiori riservate alla popolazione femminile, rappresentate in una serie di litografie. Noi le riportiamo in questa gallery aggiungendone anche altre, molte delle quali inflitte sì alle donne ma anche agli uomini.
Per chi venisse accusata di parlare troppo, di raccontare falsità o pettegolezzi veniva usata la Briglia di Scold, una vera e propria gabbia di ferro da posizionare sul viso della donna, che veniva bloccata sulla testa, mentre un pezzo di metallo sporgente veniva infilato in bocca: ogni volta che la malcapitata provava a muovere la lingua, questa veniva lacerata.
Spesso le donne venivano incatenate a un gancio, attaccato al camino di casa, finché non avessero “imparato la lezione”, ma altre volte erano portate in giro per la città con la gabbia sul volto, per essere umiliate.
In questo giogo di legno la donna poteva essere incatenata da sola, oppure accanto a colei con cui stava litigando, e andare in giro per la città praticamente costrette a “convivere”.
In realtà lo strumento era usato indistintamente per uomini e donne, al solo scopo di umiliare la persona. Le donne che si sedevano lì erano accusate di cattiva condotta sessuale o di prostituzione: venivano obbligate a sedersi e portate in giro per la città per essere umiliate.
Questo sedile, a differenza del precedente, veniva sospeso, attaccato a lunghe travi di legno, su un corso d’acqua, in cui le donne venivano immerse e tirate fuori, spesso così tante volte da rimanere uccise. Era una punizione per “raffreddare i bollenti spiriti”.
A questa gogna mobile in legno venivano incatenate le donne accusate di crimini comuni come liti con i vicini, pettegolezzi o sesso fuori dal matrimonio.
Altra punizione applicata sia agli uomini che alle donne, la botte della vergogna o “mantello dell’ubriaco” era usato, con gli uni, per punire ubriachi, ladri e facinorosi, con le altre affinché venissero umiliate per la loro vita sessuale intensa.
Le donne dispotiche o prepotenti erano costrette a camminare a piedi nudi per la città, in sottana, mentre la folla si radunava per accompagnare la processione e umiliare la vittima.
Prostitute o proprietarie di bordelli venivano marchiate a fuoco, soprattutto durante il XVI secolo. TPI racconta che una certa Lady Low, proprietaria di un bordello ad Aberdeen, fu marchiata con un ferro caldo su entrambe le guance, costretta a indossare una corona di carta per poi essere espulsa dalla città, con la minaccia che sarebbe stata fatta annegare se fosse tornata.
L’affogamento era il metodo di tortura riservato alle ladre, ma anche i cacciatori di streghe lo usavano per capire se la donna fosse effettivamente una megera o no: se fosse stata una strega avrebbe dovuto galleggiare, in caso contrario… no.
È la tortura tristemente più nota, riservata alle donne accusate di eresia, stregoneria o di tradimento. Venivano appese e costrette a indossare un abito imbevuto di catrame, poi legate a un barile cui veniva appiccato il fuoco.
Le donne che avevano relazioni extraconiugali venivano sfigurate perché fossero private della propria bellezza. Curioso, ma non sorprendente considerati i tempi, che agli uomini fedifraghi invece non fosse imposto nulla, se non il pagamento di una multa.
Un’altra delle torture inflitte alle donne e anche agli uomini era la sega: essa prevedenza il sezionamento del malcapitato in verticale. La vittima veniva appesa a testa in giù affinché il sangue affluisse alla testa, tenendolo in vita il più a lungo possibile e rendendo la sua sofferenza un vero supplizio.
Anche la tavola veniva usata indipendentemente dal sesso del malcapitato come strumento di tortura nel Rinascimento: la vittima, la quale aveva legati mani e piedi a quattro funi montate a loro volta su due rulli, veniva allungata fino alla completa slogatura delle articolazioni e, in alcuni casi, anche fino alla morte.
Usato soprattutto dall’Inquisizione Spagnola, lo spacca ginocchia era uno dei più temibili oggetti da tortura. Completo di acuminate punte, lo strumento veniva posto sul ginocchio della vittima (o in qualsiasi altra parte del corpo a discrezione dell’inquisitore) e progressivamente stretto tramite una vite.
Insieme alla tavola, la ruota è considerata dall’immaginario comune come una delle torture per eccellenza. Ma in cosa consisteva davvero? La malcapitata, o il malcapitato, veniva legata alla ruota di un carro e, successivamente, un boia sopraggiungeva a spaccare a martellate tutte le articolazioni. Il corpo informe e martoriato della vittima veniva poi esposto in pubblico fino a che la morte non sopraggiungeva.
Una versione dello spacca ginocchia ma per la testa: questo singolare casco montato su un tornio veniva posto sul capo della vittima e, attraverso una vite, veniva stretto fino alla morte.
Nel medioevo il cavallo spagnolo era destinato a tutte quelle donne sospettate di essere streghe o di avere legami con il demonio. Le malcapitate venivano poste a cavalcioni sull’asse di legno in modo che uno spigolo acuminato penetrasse nella loro vagina. Inoltre, al fine di provocare ancora più dolore, spesso ai piedi venivano aggiunti anche dei pesi. Durante il periodo dell’Inquisizione questa pratica venne estesa anche alle suore sospettate di aver infranto il loro voto di castità.
Strumento di pena capitale: l’anello di ferro messo al collo della vittima veniva tirato indietro provocando così l’asfissia.
Probabilmente inventata nel 1400 da Francesco II da Carrara, allora signore di Padova, la cintura di castità era un vero e proprio supplizio inflitto alle donne durante l’epoca medievale. Il suo uso si propagò in tutta Italia divenendo quasi una moda al tempo: applicare infatti una cintura di castità alla propria moglie o amante che veniva abbandonata a casa per un lungo periodo, veniva vista come una vera e propria necessità sociale. Tale pratica durò per numerosi anni a seguire e in Francia sparì solamente nel secolo scorso.
Usata come metodo di confessione per le presunte streghe: le malcapitate venivano messe in un sacco che successivamente veniva issato su un albero e fatto dondolare. Il suo movimento oscillatorio, solo dopo qualche ora, portava ad allucinazioni e a confessioni non vere.
La vergine di Norimberga (conosciuta anche come La fanciulla di ferro) era un vero e proprio contenitore di dimensioni umane dalle sembianze di una fanciulla. È al suo interno che però nascondeva il suo vero fine: esso era infatti ricoperto di lame acuminate in modo da trafiggere la condannata in punti ben precisi (il fegato, i reni e gli occhi). Il perché è molto semplice: se le lame avessero toccato organi vitali la vittima sarebbe morta troppo in fretta. Con la vergine di Norimberga, invece, la morte sopraggiungeva solo dopo numerose ore e per dissanguamento.
La pera vaginale veniva usata per tutte quelle donne sospettate di praticare rapporti sessuali con il demonio: lo scopo di questo barbaro oggetto era quello di “purificare” la parte impura della donna che era quindi entrata in contatto con il Diavolo. L’oggetto in bronzo veniva inserito nell’organo sessuale della donna e i tre “spicchi” girevoli venivano aperti tramite una vite posta in alto. Inutile dire che il dolore provocato era davvero atroce, numerose anche le infezioni che si potevano contrarre.
La pulizia dell’anima era una pratica largamente utilizzata per “purificare” le presunte streghe o gli eretici. Per rendere nuovamente puro il condannato gli veniva fatta ingoiare acqua bollente, carbone e alcune volte anche sapone. Ricorderete sicuramente la famosa frase “Sciacquati l’acqua con il sapone prima di parlare“… Beh, ora conoscete la sua origine.
Una tortura davvero scabrosa. La sua esecuzione è facilmente intuibile: la vittima veniva calata (il più delle volte partendo dalla testa) in un calderone pieno d’acqua o di olio bollente.
Spesso usato per i reati minori, le donne a cui era inflitta questa pena venivano legate a uno sgabello che a sua volta veniva immerso in una palude o in uno stagno.
Tortura riservata alle donne adultere e a coloro che avevano abortito, lo strappa seno non ha bisogno di presentazioni poiché il suo nome stesso presagisce proprio il suo fine.
Usata dai tribunali dell’Inquisizione romana fra il 1550 e il 1650, la “cicogna” di storpiatura a prima vista potrebbe sembrare un semplice metodo di incatenamento della vittima. Nulla di più falso: solo dopo pochi minuti, la malcapitata veniva colpita da forti crampi alla muscolatura addominale, rettale, pettorale e successivamente anche agli altri muscoli. Restare incatenati in questo modo non portava solo a un dolore fisico ma anche a veri stati di pazzia. Inoltre il ferro, al più piccolo movimento, poteva lacerare la carne portando così la vittima a sviluppare delle gravi infezioni (come la setticemia).
Rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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