Un viaggio scioccante alla scoperta di una terribile realtà, dove degrado sociale, estrema povertà e ignoranza culturale si mescolano irrimediabilmente fino a creare un cocktail letale. Il tutto documentato dall’obiettivo crudamente veritiero di un fotografo, che non potrebbe descrivere meglio la situazione di quello che sembra essere un angolo di mondo dimenticato da tutti, persino da Dio.
I sobborghi di Lagos, in Nigeria, offrono uno spettacolo davvero terrificante che fa ridiscutere il comune senso di civiltà e di umanità: centinaia le prostitute che lavorano nei bordelli più squallidi del quartiere, moltissime quelle appena adolescenti, ancora di più, purtroppo, quelle malate di HIV.
I dati che arrivano sono tremendamente sconfortanti: un quarto delle “professioniste del sesso” nigeriane hanno contratto il virus dell’AIDS, ovvero più del 24% (secondo i dati del Journal of the International AIDS Society), 1 milione e 2 gli abitanti di Lagos, la città più grande del paese africano, che convivono con la malattia. Una stima che si aggira attorno al 4,1% della popolazione adulta complessiva, secondo uno studio condotto dall’Iranian Journal of Public Health, e che, pur essendo scesa dal 5% dei primi anni del 2000, resta comunque preoccupante. Il tutto dovuto, soprattutto, alla mancanza totale di utilizzo del preservativo, che gli uomini non indossano e che le donne non chiedono ai partner, anche quelli occasionali, di indossare.
C’è di più: nel sobborgo di Badia, dove le fotografie del servizio sono state fatte, moltissime prostitute si aggirano più o meno sui 14 anni di età, e intrattengono circa cinque clienti al giorno.
A realizzare lo sconvolgente servizio è stato il fotografo Ton Koene, che ricorda persino ciò che l’autista che lo ha accompagnato a Badia gli ha detto:
Puoi sentire l’odore dell’HIV fin da fuori.
A dimostrazione delle indistruttibili barriere culturali ancora esistenti nel paese a proposito dell’uso del profilattico proprio a scopo di prevenzione contro le malattie sessualmente trasmissibili, solo una delle donne intervistate ha asserito di aver comprato dei preservativi per il proprio ragazzo una volta, mentre le altre hanno detto di non averlo mai fatto perché tutto ciò non sarebbe piaciuto ai mariti, o ai genitori.
Sono idee difficilmente condivisibili in realtà come la nostra, ma evidentemente ardue da “esportare” in paesi dove permane un attaccamento profondo a convenzioni (e convinzioni) culturali e sociali arcaiche, secondo cui un preservativo, piuttosto che essere un mezzo per salvarsi la vita, è una vergogna morale inaccettabile.
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